Digital Advertising

Il programmatic advertising tra presente e futuro

Tempo di lettura 6 minuti

Perché sta crescendo il programmatic advertising? Le infrastrutture pubblicitarie attuali non sono abbastanza valide?

Per rispondere a queste domande, dobbiamo fare qualche passo indietro e tracciare l’evoluzione della pubblicità online.
Il programmatic advertising sembra destinato ad avere grande sviluppi nel prossimo futuro,ma per comprendere più a fondo l’argomento, conviene fare qualche passo indietro, guardando alle circostanze che lo hanno fatto nascere e crescere.

Una bella ricostruzione della nascita del programmatic advertising e dei suoi possibili sviluppi ce la fornisce Jeff Rajeck (APAC Research Analyst for Econsultancy) in un recentissimo articolo sul blog di Econsultancy. Ve ne do conto, dal momento che la ritengo complementare rispetto alla spiegazione di tipo economico (quella che attribuisce la crescita del “programmatic ad” alla crisi mondiale del 2008-2009), di cui abbiamo parlato in un post precedente.
La ricostruzione di Rajeck si concentra sulla dimensione tecnologica, ed è un po’ l’altra faccia della medaglia della crescita di questa tecnologia.

Dalla nascita della pubblicità online al 2007

Il primo “banner ad” comparve nel lontano 1994 sul sito web Hotwired. Secondo la leggenda, il format era così nuovo e rivoluzionario che ottenne un 44% di click through rate (per avere un metro di paragone, oggi i “banner ad” ottengono lo 0,6% – una diminuzione di oltre il 99%).

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Nel 1996 era di molto aumentato il numero di persone connesse al web e il numero di siti aumentava vertiginosamente.

I brand, che inizialmente negoziavano le pubblicità con i siti più popolari, trovavano sempre più difficile mantenere traccia dei loro banner.
A causa di questo problema, DoubleClick, tra gli altri, creò degli “ad server” che aiutavano a produrre e distribuire “ad” sul web. Tuttavia, mano a mano che il web continuava a crescere, fu sempre più difficile gestire le varie relazioni necessarie a distribuire “ad” su differenti siti web.

Così nel 1998 nacquero i primi “ad network”. Questi aiutavano i brand a fare pubblicità su molteplici siti mediante un’unica piattaforma. Il panorama dei media tornò così ad essere gestibile.

Alla fine degli anni ’90, però, con il boom dei “dot-com”, il web crebbe troppo velocemente perché questi network riuscissero a tenere il passo. Si fecero strada crawler e portali (come Excite e Yahoo) per indicizzare e categorizzare il web, ma molti avvertivano che il web era diventato tropo frammentato per poter realizzare della pubblicità davvero efficace.

Qui entra in gioco Google: nel 2000 aveva sviluppato un motore di ricerca che, quasi miracolosamente, rendeva nuovamente accessibile il web in continua espansione.
Nel 2000 Google, il grande organizzatore, lanciò AdWords. AdWords era molto diverso dagli altri network di “ad”, poiché riusciva a distribuire gli annunci pressoché in ogni sito web mentre l’utente stava facendo la sua ricerca. Questo rese nuovamente efficace la pubblicità.
Google diede seguito a questo passo sviluppando nel 2003 AdSense, così che con interfacce relativamente semplici i brand erano in grado di raggiungere pressoché tutto il web.
Seguì poi la pubblicità video, con YouTube nel 2006, e ben presto anche Facebook iniziò ad entrare nella distribuzione pubblicitaria.

Chiaramente, questa è una ricostruzione per sommi capi, ma diciamo che attorno al 2007 le cose sembravano abbastanza sotto controllo. Ogni volta che il web diventava più complesso, nascevano nuove tecnologie per organizzare il panorama dei media e aiutare gli inserzionisti a raggiungere efficacemente la loro audience.
Poi le cose cambiarono di nuovo.

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La rivoluzione dei sistemi “mobile” e di internet

Nel 2007 la Apple lancia l’iPhone e a ruota la segue presto Google con il sistema Android OS. Nel giro di 4 anni tutto il gioco cambia.

Guardate questo grafico per capire a cosa ci si riferisce:

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Circa 4 anni dopo il lancio degli smartphone, il prezzo dei dispositivi connessi a internet era crollato, il possesso di smartphone si era diffuso a macchia d’olio e tra il 2007 e il 2011 il numero di utenti internet era raddoppiato.

L’utilizzo giornaliero era aumentato del 50%:

 

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Non finisce qui. La stima è che gli utenti internet raddoppieranno ancora nel corso di questo decennio, passando dai 2 miliardi nel 2010 ai 4 miliardi nel 2020.

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Il cambiamento delle modalità di consumo

E’ anche cambiato il modo in cui consumiamo i media; la proliferazione di dispositivi e la crescita del tempo trascorso su internet non è tutto. Ora consumiamo anche i media in modo diverso.

Con i dispositivi mobili accediamo a internet anche mentre siamo in movimento e ci troviamo nei luoghi più disparati, e siamo soggetti  a continue distrazioni. Consumiamo i media più all’interno dei social network, delle app per la messaggistica, o di brevi video, e meno in una pagina HTML ben strutturata.

Tutto ciò aggiunge complessità e ci porta a un ambiente che per i brand è incredibilmente difficile comprendere, il che significa che siamo meno efficaci nel misurare il ROI della pubblicità.

Cosa dobbiamo fare?

Dal 1994 al 2007, il web è cresciuto ed è diventato molto più complesso, e sono emerse nuove tecnologie per aiutare gli inserzionisti a navigare nei nuovi paesaggi dei media.

Nel passato più recente i “server ad” hanno aiutato a divulgare in modo più efficiente i banner pubblicitari. I network pubblicitari hanno in questo modo “organizzato” gli editori. Google ha indicizzato tutto internet e ha permesso di farci dentro la pubblicità.

Può accadere ancora qualcosa del genere? Quale strada conviene seguire oggi per raggiungere i consumatori in un contesto così frammentato come quello attuale?

Secondo Jeff Rajeck la risposta sta nella pubblicità programmatica così come si sta sviluppando oggi. Se si guarda il diagramma qui sotto si possono vedere i fondamenti della futura pubblicità online.

Come si vede in questa rappresentazione, abbiamo da un lato i “publisher” (gli “editori”) che mettono in vendita spazi pubblicitari, dall’altro gli inserzionisti (“advertiser”) che concorrono tra loro per acquistarli.

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La transazione avviene attraverso piattaforme tecnologiche: le SSP (Supply-Side Platform), usate dai “publisher”, e le DSP (Demand-Side Platform), usate dagli “advertiser”.

La domanda e l’offerta interagiscono in marketplace chiamati “ad exchange”.
Lo scambio tra “buyer” e “seller” avviene anche attraverso strutture chiamate “ad network” (Google, Yahoo, Microsoft, 24/7 Media, AOL) che acquistano impression dai “publisher” e le rivendono agli inserzionisti.

Il punto è che le SSP nasconderanno la complessità per i “publisher” e le DSP faranno altrettanto per gli “advertiser”.

  • I “trading desk” recapiteranno l’esperienza del singolo punto di contatto a coloro che ne hanno bisogno e i dati delle prime e terze parti saranno gestite dai DMP.
  • Analytics e ottimizzazione saranno disponibili in ciascun nodo a supporto del ROI.

In breve, con questo tipo di infrastruttura i brand si possono concentrare sul messaggio che vogliono diffondere e su coloro che vogliono raggiungere, mentre è la tecnologia a farsi carico del resto.

Ora alcuni siti, nella fattispecie Google e Facebook, hanno un approccio diverso. Questi stanno tentando  ancora una volta di offrire ai marketer un approccio semplice e insieme potente al loro network.
Ma se i dispositivi mobile, il loro uso e i comportamenti continuano a cambiare nella stessa proporzione, secondo Rajeck

l’ambiente programmatico distribuito è una soluzione molto più solida. Esso offre un’astrazione di alto livello dei componenti fondamentali necessari a divulgare la pubblicità attraverso una complessa gamma di dispositivi, interfacce ed editori.
Si può discutere se oggi vi siano davvero i prodotti necessari, ma l’architettura che sta evolvendo è coerente, e per molti aspetti è pensata per prendere nei prossimi anni il posto di ciò che l’ha preceduta.

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Quindi, se si teme di essere in ritardo, non c’è da allarmarsi. Come ha mostrato Mary Meeker nel suo 2015 Internet Trends Report, la pubblicità su mobile è notevolmente indietro rispetto ad altri media in termini di tempo speso/dollari spesi.

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E dal momento che la maggior parte della pubblicità su mobile sarà presto programmatica, secondo un recente eMarketer report, se con il programmatic advertising si riesce a catturare quel tempo speso su mobile, probabilmente si è ancora davanti alla maggior parte degli altri.

Se ci si sta chiedendo da dove partire, ironicamente il miglior luogo potrebbe essere proprio Google e Facebook . Inoltre, prendendo confidenza con le ampie funzionalità e con le analytics disponibili su queste piattaforme, ci si potrà preparare ad acquistare la pubblicità molto più complicata del futuro.

Conclusioni. Il futuro del programmatic

Ovviamente vi sono molte altre sfide per il “programmatic”. Deve fronteggiare grandi questioni, dall’ad blocking, alle app per la messaggistica “ad-free” e alle problematiche relative alla privacy. Ma, come conclude Rajeck è bene tenere a mente che il web è sempre stato un luogo difficile per chi vuol fare pubblicità. La nuova tecnologia tuttavia ha organizzato quel caos prima, e sembra probabile che lo farà ancora.

 

By Federica Trevisanello

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