Content Marketing

Pubblicità tradizionale e digitale a confronto. Cos'è cambiato e cos'è immutato

Tempo di lettura 7 minuti

Chi non invidia i marketer dell’era pre-digitale faccia un passo avanti. Vi sono campagne televisive che sono rimaste nell’immaginario collettivo, e chi è cresciuto nell’era del Carosello di mamma Rai ricorda ancora con nostalgia personaggi come La Linea, Susanna Tuttapanna, Calimero, Caballero e Carmencita, Papalla, Topo Gigio. Poi vi sono state campagne “storiche”, come quella della Sip con Massimo Lopez (“una telefonata allunga la vita”), o il tartufon Motta: tormentoni che si sono fissati nelle nostre menti di consumatori e che sono stati utilizzati per lungo tempo come modi di dire… E oggi? Possiamo affermare che con la pubblicità digitale accade altrettanto? Possiamo dire che le attuali campagne virali sono memorabili e hanno un ciclo di vita eguale a quelle del secolo scorso?

Oggi abbiamo più strumenti, più dati, una maggiore capacità di affrontare un paesaggio comunicativo incredibilmente frammentato, ma avere la certezza che un messaggio pubblicitario raggiunga la sua audience e rimanga in qualche “partizione” di memoria è un’impresa estremamente complicata. Acxiom ha recentemente pubblicato i risultati di una indagine effettuata su 2000 consumatori UK per esplorare i loro atteggiamenti verso i messaggi pubblicitari, per comprendere cosa fa sì che ne siano coinvolti, come i brand usano i dati personali e quale sia l’efficacia dei brand nel diffondere campagne pubblicitarie che abbiano risonanza.

A seguito della ricerca, Acxiom ha poi condotto una tavola rotonda con una decina di esperti in pubblicità, in marketing e in data e media planning. La domanda: “Quanto è veramente cambiato nel nostro approccio al marketing rispetto all’epoca pre-internet?”

Di seguito, in massima sintesi vediamo i risultati di questo lavoro [1].

1. Creare un legame emotivo richiede un approccio più sofisticato

Questo è un dato assodato: in pubblicità creare un legame emotivo è ancora un’esigenza terribilmente importante. Tuttavia, non si possono utilizzare le stesse tecniche degli anni ’70, ’80 e ’90. I consumatori oggi hanno un immenso catalogo di messaggi pubblicitari cui fare mentalmente ricorso. Oggi sono esposti a messaggi da parte dei brand che arrivano da una pluralità di fonti e di canali. Il risultato è che il consumatore è più smaliziato rispetto alle tattiche di marketing che mirano a evocare una risonanza emotiva. Di più: il consumatore odierno è brand-fatigued. Sono così tanti i messaggi pubblicitari e di marketing cui è esposto regolarmente, che egli cerca di assumere un atteggiamento mentale che inibisca l’interazione emotiva con i brand. In una certa misura è diventato insensibile a molti messaggi di marketing.

Così si è espresso Jim Kite, Strategic Development Director, SMG:

People are losing faith in politicians, the world and now brands. There is a natural barrier there for us to overcome. It’s a matter of fatigue. The consumer is tired of being bombarded.

Il marketer del 2015 ha bisogno di ri-coinvolgere e ri-conquistare la fiducia perduta. Infrangere la barriera che il consumatore ha posto a sua difesa è  una sfida ardua: il consumatore è diventato cinico. D’altronde, come rimproverarlo? Se fosse privo di filtri rispetto alla pubblicità sarebbe incline ad acquistare ogni volta che vede un annuncio, e ben presto si ritroverebbe con le tasche vuote.

Per superare questa barriera, i marketer devono fare il possibile per essere attraenti: instillare emozione nella pubblicità, in modo da ottenere una risposta. Che poi questa risposta si traduca in vendite non è per nulla assodato: accade solo se si toccano le corde giuste e se alla reazione emotiva si aggiunge un’azione. Non basta più far ridere o far piangere. I marketer cercano il coinvolgimento, i like su Facebook, i re-tweet, le visualizzazioni di video su YouTube: hanno bisogno di un’azione fisica, misurabile, per provare il successo di una campagna. Stanno chiedendo troppo? I consumatori non vogliono essere subissati da “call to action”: vogliono che si parli loro su di un piano personale e che li coinvolga. Questo è il modo in cui instaurare dei legami emotivi, ma anche in questo caso non è detto che divengano comportamenti d’acquisto.

Come ha detto Mark Arnold, Strategic Planning Consultant in Acxiom:

Laughter, for example, makes an ad memorable, but I don’t think it would necessarily result in a guaranteed purchase.

Fare leva su semplici emozioni, dunque, è una strategia ormai abusata e i marketer hanno bisogno di elaborare messaggi pubblicitari con un appeal emozionale molto più raffinato che un tempo.

2. Oggi gli approcci diretti hanno un’altissima probabilità di essere rifiutati

Ciò che differenzia le pubblicità di oggi da quelle di alcune decadi fa è che il vecchio approccio “apriti un varco ad ogni costo” semplicemente non funziona più.

Ad esempio, gli annunci a scopo di beneficenza che tentano di toccare le corde del cuore con immagini evocative riescono spesso a suscitare quella scossa che induce all’azione, ma altrettanto spesso rischiano di essere percepiti in modo cinico. Agli enti e alle associazioni umanitarie non basta più mostrare immagini crude, per lo meno non come facevano un tempo. I consumatori odierni non vogliono sentirsi fare la predica e non si vogliono sentire in colpa. Il marketing prescrittivo oggi non funziona. I consumatori ritengono che la maggior parte di questi tipi di approcci abbia fatto il suo tempo e sia ormai stra-vista. Il sesso vende ancora, ma non si può essere troppo ovvi nell’utilizzarlo. Anche l’ironia agli occhi dei consumatori è un espediente logoro. In termini semplici: il consumatore di oggi è emotivamente cinico. Se si riesce a capire questo, e a giocarci dentro, si riesce anche a comunicare commercialmente con lui in modo più efficace.

Il consumatore è alla ricerca di un contenuto che lo coinvolga a livello personale, o che gli comunichi un feeling di autenticità. In contrasto con la pubblicità prescrittiva degli anni ’70 e ’80, oggi viviamo in un’epoca di auto-pubblicazione, di condivisione tra pari e di “mi piace”. I consumatori vogliono contenuti “naturali”, condivisi in modo organico e selezionati da pari, qualcosa che parli loro personalmente a livello autentico, anche se umoristico. Nell’arsenale del marketer del 2015, quindi, vi deve essere la capacità di curare i contenuti organici e autentici. Un contenuto organico diviene virale a causa della preferenza tra pari. E’ preferito perché è percepito come autentico e ha guadagnato attenzione in modo naturale, come se fosse stato messo al mondo senza aspettative, senza tener conto del ROI. Questo tipo di contenuto è in totale contrasto con il marketing prescrittivo più tipico del passato, anche se non è del tutto in contrasto con la pubblicità degli anni ’70, ’80 e ’90: è un risultato diretto dell’esistenza delle pubblicità che l’hanno preceduta. Questi messaggi promozionali fanno parte del sostrato culturale delle attitudini del consumatore di oggi.

Complessivamente, i marketer combattono una battaglia tutta in salita, nella quale comunque i legami emotivi continuano ad essere importanti. Quasi un terzo dei consumatori interpellati dalla ricerca ritiene di essere impermeabile alla pubblicità, ma poi afferma che farlo ridere potrebbe essere un buon sistema per portarlo dall’emozione all’azione. In particolare i millennial (giovani tra i 18 e i 34 anni) sono alla ricerca di coinvolgimento a livello “umano”.

3. Oggi “fare colpo” è molto più difficile, ma la personalizzazione può risultare estremamente potente

La ricerca evidenzia che le persone preferiscono acquistare da brand che conoscono e dei quali si fidano. Ma oltre un terzo (il 37%) degli interpellati dice che non gradirebbe che i brand usassero le informazioni disponibili su di lui per mandargli promozioni e comunicazioni di marketing migliori e più rilevanti. I consumatori non conoscono e non sono interessati al processo di personalizzazione che sta dietro l’invio di una Dem: guardano solo il risultato finale; non sono consapevoli del processo di personalizzazione, di come viene realizzato e di cosa fanno i marketer con i dati che li riguardano.

Personalizzazione significa molte cose: sapere con quale dispositivo un consumatore sta facendo acquisti, o dove si trova, o quale auto ha recentemente comprato. Il pubblicitario capace di personalizzare il suo messaggio, mediante l’accesso ai migliori tipi di dati, agli strumenti per segmentare e a solide tattiche, ha un chiaro vantaggio competitivo. Il punto vitale della personalizzazione è comprendere come interagire con il consumatore in modo opportuno, puntuale. Subissare il consumatore con un fuoco di fila di messaggi, anche se rilevanti, non funziona: i marketer devono riuscire a capire se il consumatore è pronto per il messaggio e se si trova nel punto giusto del suo percorso.

Ha detto Jed Mole, European Marketing Director di Acxiom:

The age of the big ad, the “big splash”, is arguably over. Marketing is now about the small moments of truth, taking the customer on micro journeys across a number of touch points.

I marketer devono comprendere che il consumatore opera attraverso un certo numero di touch point, dal social al mobile, e in misura crescente si aspetta una brand experience strettamente intessuta con questi. Per fornire l’esperienza attesa dal consumatore è necessaria la personalizzazione – altrimenti un brand rischia di causare frustrazioni e di sembrare schizofrenico (anche perché tendiamo a ricordare i cattivi esempi e a dimenticare quelli buoni…). Il 51% del campione della ricerca ha detto che sarebbe seccato se ricevesse differenti offerte dallo stesso brand attraverso differenti canali (ad esempio, se ricevesse offerte/messaggi via email non consistenti rispetto a quelle trasmesse in TV). In effetti, vi è più di qualche segnale di bassa qualità in parecchi attuali sforzi di personalizzazione. Troppo spesso i consumatori ricevono offerte inadeguate alle loro caratteristiche, o proposte di acquisto di cose che hanno già comprato.

Dove invece i consumatori sono profilati e “targhettizzati” in modo accurato, dove le offerte e i messaggi sono utili, la resistenza alla personalizzazione evapora. La personalizzazione in questi casi gioca un ruolo potente nella brand experience, e se fosse più visibile, più trasparente, risulterebbe anche meno sospetta.

Ha detto ancora Jed Mole:

Most consumers would volunteer pretty much any data if there was a chance of a flight upgrade, for example. What if the airline’s only willing to do that if they have enough information about you? There’s a value exchange there that’s worth it for both parties.

Per inciso, è interessante rilevare che secondo la ricerca i millennial (18-34 anni) sono molto più disponibili a ricevere offerte tramite personalizzazione rispetto ai consumatori più vecchi, a condizione che offrano loro una brand experience più ottimale. Il che porta a una ulteriore considerazione.

4. Comprendere come usare insieme molteplici canali è essenziale per farsi strada

Nel passato più recente i marketer hanno parlato di “comportamento cross-channel“. Molto spesso questo termine è stato applicato ai millennial. Ma la verità è che oggi ciascuno di noi è multicanale. La maggior parte delle campagne di marketing dovranno prendere in considerazione questo aspetto e adottare un approccio multicanale, qualcosa che non era così all’ordine del giorno per i nostri antenati nel marketing. La maggioranza degli approcci multicanale soffre di un eccesso di frammentazione, sono troppo spesso disgiunti e inconsistenti, ma non è detto che debba essere così per sempre.

Nel nostro paesaggio frammentato è enormemente importante che i marketer creino una brand experience unificata attraverso i diversi canali come condizione indispensabile affinché i consumatori si facciano coinvolgere dal brand.

Gli esperti che hanno partecipato alla tavola rotonda si sono trovati concordi nel dire che marketer e pubblicitari devono impegnarsi al massimo per creare un brand world dove i consumatori non siano costretti a compiere grandi sforzi per fare esperienza di ciò che viene offerto.

Inoltre, il labirinto multicanale può essere complesso in egual misura tanto per il consumatore quanto per il marketer. La navigabilità (che non era un problema per i nostri antenati) diviene anch’essa un fattore chiave: i marketer si devono accertare che i loro contenuti siano navigabili da un touchpoint all’altro e che siano facilmente visibili. Per creare un impatto, i marketer devono creare molteplici punti di contatto con il consumatore usando in modo consistente immaginazione, branding e messaggi.

Negli ultimi decenni non è cambiato molto riguardo ai fondamentali della pubblicità (avere un contenuto creativo di qualità, raggiungere risonanza emotiva, ecc.), la differenza principale sta nel metodo con cui si affronta la multicanalità. Per finire, ricordiamo che in questo mondo l’accesso ai dati giusti e al loro uso corretto, etico, è d’importanza chiave. Senza questo, il miglior contenuto creativo al mondo farà ben poco.

Note

[1] Il report completo è disponibile nell’area riservata al network Boraso. Il report di Acxiom si divide sostanzialmente in due parti: la prima descrive lo stato dell’arte; la seconda presenta come i marketer partecipanti alla tavola rotonda hanno re-immaginato 5 campagne pubblicitarie televisive di grandissimo successo nel Regno Unito pre-internet adattandole al contesto comunicativo odierno. Decisamente un bell’esercizio.

By Federica Trevisanello

Questo articolo è stato originariamente scritto per la Playlist di Boraso del 01/09/2015

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