Social Media

I 7 vizi capitali dei brand nell'uso dei social

Tempo di lettura 6 minuti

Ira, gola, invidia, accidia, superbia, avarizia, lussuria: questi sono i sette vizi capitali della dottrina cattolica. Ma vi sono altri sette vizi, diffusi anche tra i brand più prestigiosi, che diventano estremamente pericolosi nell’ambiente dei social media e che, quando si verificano delle crisi, possono scatenare vere e proprie tempeste da cui è difficile uscire indenni.

La presenza sui social consente a un brand di essere in rapporto diretto con la sua audience, di ascoltarla, comprenderla, anticiparne i desideri, annusarne gli umori. Richiede però grandissima capacità di ascolto e di reazione, pena – appunto – la crisi.

Un esempio eclatante di crisi sui social media (e incapacità di affrontarla) è il recente scandalo Volkswagen. Negli Usa, venerdì 18 settembre, giorno in cui la notizia delle auto “taroccate” si diffonde negli Stati Uniti, la Volkswagen che fa? semplicemente smette di postare alcunché su Facebook e Twitter. Gli account rimangono al buio per un’intera settimana, sino a quando viene postata una dichiarazione di Michael Horn, CEO statunitense in odor di dimissioni. Fino al 27 settembre (quando la Volkswagen lancia http://vwdieselinfo.com) gli unici che tentano di dare qualche informazione in più sono gli account ufficiali Twitter e Facebook di Volkswagen UK.

Il caso Volkswagen è decisamente sbalorditivo, ma una social media crisis può essere innescata anche da una piccolissima scintilla: ciò che conta, qualsiasi sia la causa, è la risposta da parte del brand, la sua capacità di spegnere l’incendio e riportare il brand a una condizione di normalità. Imparando una lezione per il futuro. Troppo spesso nelle reazioni da parte dei brand manca invece proprio la capacità di gestire una crisi; questo può minare l’immagine del brand e alimentare una spirale di perdita di controllo.

Vediamo dunque gli errori (o “vizi”) che affliggono i brand

1. Pigrizia

La voce del brand non passa solo attraverso ciò che ne dicono i suoi addetti stampa e i suoi social media manager. Anche i suoi dipendenti concorrono a veicolare l’immagine del brand sui social ed è importante che i dipendenti stessi diano voce al brand, ma un certo grado di controllo su chi può accedere ai loro canali sociali i brand devono mantenerlo.

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Vi può essere un dipendente scontento, che non comprende completamente le sensibilità culturali (specie se il brand opera in territori diversi) o che va contro la brand policy ufficiale, o che ha oggettive ragioni per essere arrabbiato con il proprio brand. Qualunque sia il motivo, da qualunque parte stiano i torti e le ragioni, un dipendente che critica o denigra il proprio brand ha il potere di mettere pesantemente in crisi la sua reputazione. Allora, non si può peccare di pigrizia, non si può mancare di controllo, soprattutto se si è un brand di grandi dimensioni, se la propria organizzazione è complessa e se vi sono diverse persone e diverse squadre attive sui social media.

Consiglio 1.

Serve un robusto processo editoriale che garantisca un certo grado minimo di controllo sull’output dei social media, senza andare a detrimento dell’agilità o del livello dell’output creativo.

2. Ignoranza del contesto

Il contesto è un aspetto cruciale di qualsiasi conversazione, è ciò che attribuisce significato alla comunicazione. Questo è particolarmente vero nel caso dei social media. I brand hanno bisogno di capire il contesto in cui si inserisce il contenuto che stanno postando, dal momento che un post non compreso può finire per causare una grave offesa.

Questa è un’altra area dove aver predisposto un processo editoriale per i social media è estremamente importante, perché sappiamo bene che non c’è modo di tornare indietro una volta che si è cliccato “inserisci”. Non vale difendersi con l’argomento “io non sapevo”, oppure scaricando la colpa sul dipendente che ha commesso l’errore perché non ne sapeva abbastanza – una tattica spesso usata come prima linea di difesa da un bel po’ di brand che sono finiti in questo tipo di tempesta.

Consiglio 2.

Assicurati che il contenuto che hai intenzione di postare sia rilevante rispetto al contesto della conversazione, e assicurati di aver compreso completamente come quel contenuto si relaziona alla conversazione.

Se stai postando una famosa citazione, assicurati di capire il retroterra di quella citazione; se stai postando un’immagine, informati bene da dove quell’immagine è stata tratta, e cosa rappresenta. Perché in realtà potrebbe avere un significato davvero diverso a seconda dei diversi tipi di persone che lo vedranno.

3. Inopportunità

Mentre c’è un tempo e c’è un luogo per il contenuto branded, ci sono anche momenti in cui è molto sgradito nella discussione. Man mano che i brand si orientano verso il marketing in tempo reale e verso modelli d’informazione branded, molti scoprono di trovarsi a commentare in luoghi e su argomenti dove non è per nulla appropriato farlo. Se fatto correttamente, il commento su eventi in corso può essere una forma di marketing perfettamente accettabile ed efficace; per contro, se fatto male può creare un enorme contraccolpo.

Vi sono molti esempi di brand che sono stati colti in fallo. In casa nostra abbiamo quello di Groupalia, che si permise un’ironia decisamente fuori luogo durante il terremoto in Emilia Romagna. Mentre l’allarme degli utenti sui social media affollava hashtag e conversazioni, qualcuno in Groupalia pensò di sfruttarlo a fini commerciali. La reazione naturalmente fu immediata: da Twitter a Facebook si mosse il popolo indignato. La risposta dell’azienda fu abbastanza reattiva: cancellò la comunicazione e sottolineò con un altro Tweet la volontà di fare qualcosa per il terremoto e le sue vittime. Però intanto il danno era stato fatto.

Consiglio 3.

Attenzione dunque al modo, ai modi, ai tempi e all’uso dell’umorismo. Bisogna praticare concretamente i valori dichiarati, avere un po’ di umiltà, essere chiari ed esprimere con onestà il proprio punto di vista. Senza dubbio è difficile bilanciare tempismo e opportunità, e anche il post più ben intenzionato può non funzionare; meglio allora darsi qualche limite e stabilire delle line guida su ciò di cui il tuo brand si autorizza a discutere e cosa invece ritiene meglio evitare.

4. Superbia

Non vi è un solo brand che non abbia un cliente insoddisfatto, un’imperfezione nel servizio o qualche neo sul piano della reputazione, quindi è inutile cercare di nascondere la sabbia sotto il tappeto quando sui social media viene avanzata qualche critica.

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I rischi sono tanti per il brand e possono essere di tantissimi tipi: potrebbe trattarsi di un cliente che non si è sentito seguito a sufficienza; potrebbe essere un evento significativo che si ripercuote su un’ampia porzione di clienti, come il ritiro di un prodotto difettoso (con Ikea di tanto in tanto succede…). Potrebbero esserci post sui social capaci di agire da scintilla per una crisi. Il tuo brand è stato messo sotto esame per i suoi rapporti con il fisco o con l’ambiente? Qualcuno mette in discussione le pratiche di welfare aziendale o la tua audience solleva problematiche relative alla tua? Di qualsiasi tipo siano i problemi, li devi prendere in carico e devi dare una risposta. Non ti puoi permettere di snobbarli e arroccarti.

Consiglio 4.

Fornisci una risposta e la tua risposta dovrebbe affrontare il problema positivamente: non metterti sulla difensiva o, peggio ancora, tacere.Riconosci il problema, scusati e cerca di trovare una soluzione. Ricorda che nessun brand ha mai vinto una discussione con un cliente.

5. Sottovalutazione

Valutare male la reazione della tua audience è una delle strade più veloci per un possibile tracollo sui social media. I social media sono incredibilmente volatili, quindi guarda in modo obiettivo alla tua campagna e valuta i modi in cui la tua campagna potrebbe andar male. Preparati gli scenari di possibile fallimento.

Consiglio 5.

Identifica e comprendi i rischi insiti nella tua campagna e decidi se quei rischi sono maggiori di ciò che ti senti a tuo agio a gestire (sapendo che anche le campagne migliori attraggono il commento negativo). Se ci sono, riconsidera la campagna.

Questo non significa produrre una campagna social totalmente piatta, priva di ispirazione, incolore e squadrata. Invece, significa divulgare campagne pensate per minimizzare il rischio di una ripercussione e assicurarsi che se un rischio c’è, si ha subito una risposta pronta.

6. Lentezza

Più del 50% dei clienti si aspetta di ricevere risposta a una domanda sui social media in meno di due ore. Quindi hai bisogno di predisporre un sistema che ti permetta di rispondere in modo veloce ed efficace. Questo copre un’ampia gamma di questioni – dalla quantità di ore che dedichi ai canali social e al loro monitoraggio, fino al livello di autonomia che lasci ai tuoi team di social media nel rispondere alle domande. Sbagliare qui si traduce generalmente in risposte sui social media che suonano robotiche, impersonali e, soprattutto, semplicemente troppo lente. Se ti trovi nella posizione in cui devi mettere diversi stakeholder attorno a un tavolo (reale o virtuale), e in particolare se questi stakeholder sono collocati a differenti livelli aziendali, o in diversi uffici o in Regioni con diversi fusi orari, la tua risposta a una crisi rischia di arrivare dopo un bel po’ che questa avrà già ampiamente danneggiato e consumato il brand.

Consiglio 6.

Prepara il tuo piano di risposta prima che la crisi si verifichi, non dopo.

7. Freddezza

Quando ti impegni con i social, hai a che fare con un pubblico in carne e ossa, piuttosto che con i media mainstream. Quindi, perché rispondere a un problema con un comunicato stampa rigidamente strutturato, ingessato e asettico? La tua risposta deve avere un tocco umano.

Troppi brand rispondono agli eventi in una maniera troppo “aziendalista”, robotica e distante, una cosa che all’utente medio dei social non piace.

Consiglio 7.

Durante le crisi l’approccio umano è sempre il migliore. Gli esseri umani possono essere ironici, empatici, attenti, intuitivi e, soprattutto, possono essere perdonati. Raramente una dichiarazione scritta attentamente riesce ad avere una di queste qualità.

 

By Federica Trevisanello

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